Lawrence


Lawrence

La vita di David Herbert

D.H. Lawrence nacque nel 1895 nelle Midlands Inglesi, definite da un altro poeta inglese “stupide e crudeli”. Una carriera nelle miniere, che un “terzo figlio maschio” si doveva aspettare, fu esclusa da un precoce attacco di polmonite, per causa del quale divenne predisposto a quella tubercolosi che lo uccise 45 anni più tardi.

Ma sua madre era stata insegnante di scuola ed aveva scritto poesie; niente di importante, ma abbastanza perché ella si rendesse conto che il figliolo aveva dei “numeri”.

Con veri funambolismi di economia domestica, mise da parte i soldi per i libri e a 13 anni David vinse una borsa di studio per la Scuola Superiore di Nottingham.

Lavorando duramente proseguì gli studi fino al Collegio della Università di Nottingham e si laureò insegnante.

I suoi primi scritti colpirono l’attenzione di due personaggi del mondo letterario, che lo incoraggiarono a scrivere ad uno di essi, Ford Madox Ford (uno scrittore molto autorevole in quel tempo ed autore di uno dei pochi libri veramente perfetti della lingua inglese “Il buon soldato”) gli pubblicò dei lavori sulla Rivista Inglese.

Nel 1911 fu in grado di porre fra le mani di sua madre, composta sul letto di morte, la prima edizione de “Il pappagallo bianco”.

Abbandonò il suo incarico di insegnante e decise di vivere del suo lavoro di scrittore.

Nei successivi 19 anni pubblicò una mezza dozzina di autentici capolavori  che gli assicurarono un posto nell’Olimpo della letteratura inglese e molti oggi ritengono che egli sia stato il più grande scrittore di questo secolo.

 

Lawrence in Italia

Il particolare interesse di Lawrence per l’Italia ed il suo modo di vedere taluni aspetti di essa, lo indussero a scrivere, negli ultimi anni della sua vita, “Luoghi Etruschi”.
Lawrence venne in Italia per la prima volta nel Settembre del 1912 e si trattenne sul Lago di Garda fino all’Aprile del 1913.

Egli era accompagnato da Frieda Von Richtoven, conosciuta in Germania quello stesso anno e che aveva abbandonato suo marito ed i figli per vivere con l’autore.

Lawrence venne in Italia nauseato dalle macchine industriali di Nottingham che avevano inquinato il paesaggio e ridotto l’uomo all’ilotismo.

Poiché affetto da T.B.C., gli era stato consigliato di fare lunghe passeggiate all’aperto.
E fu così che acquisì il senso del ritmo della vita naturale che divenne per lui una specie di “credo” religioso.

L’universo, nella sua visione, era una entità vivente, nella quale gli uomini si impegnavano con fatica e dolore a vivere petto a petto con il cosmo.

La bellezza naturale del Lago di Garda lo riempì di estatico languore; le sue passeggiate per le colline gli offrirono l’opportunità di entrare in contatto vivo con la vita dei contadini, che si svolgeva a stretto contatto con la natura, della quale, egli lo sentiva, essi capivano i segreti con una sorta di intuizione istintiva.

Non dimenticò mai quelle sensazioni e degli ultimi 10 anni della sua vita, dal 1920 al 1930, gli anni del viaggio a Ceylon, in Australia e Nord America, ne trascorse ben 4 in Italia.

Nel medesimo periodo si trattenne, in tutto, solo 6 mesi in Inghilterra.

Trascorsi alcuni mesi a Lerici, doveva viveva Shelley, al tempo della sua morte Lawrence era tornato in Inghilterra, dove sposò Frida e ottenne il successo come romanziere.
Ma la sua fama venne sfigurata da alcuni fatti di cronaca.

Il suo romanzo “L’Arcobaleno”, in cui esprimeva il suo odio per la guerra fu accusato di oscenità.

Non ci si meravigli quindi se, dopo la guerra, lui e Frida lasciarono l’Inghilterra per dedicarsi a quella che diventò una vera e propria vita da girovaghi.

Andò a Firenze, dove trasse l’ambientazione del “Aron’s Rod (1922), quindi a Picinisco negli Abruzzi, che è descritto in “The Lost Girl” (1920), e, sofferente per i rigori del freddo intenso, si trasferì a Taormina, da dove si spinse in una breve ma memorabile gita in mare fino alla Sardegna (1921).

Da quel momento in poi viaggiò per il mondo; a stento fuggì alla morte di malaria in Messico e tornò in Italia nel 1925.

Fu in Italia, vicino Firenze, che scrisse il suo più famoso, o piuttosto il più noto dei suoi libri “L’amante di Lady Chatterley”, che gli procurò più denaro, ma anche più amarezze di ogni altro.

I suoi ultimi anni furono amari, penosi e tormentati da continui dolorosi attacchi del suo male.

 

“La ragazza perduta” e “La Verga di Aronne” descrivono le speranze dello stesso Lawrence che l’Italia costituiva un esempio per il Nord industriale, ma già dai primi anni “venti” Lawrence cominciava a nutrire seri dubbi in proposito.

Egli si era reso conto che l’Italia voleva diventare una moderna potenza industriale, come l’Inghilterra e già nel 1922 Aaron pensava che l’Italia fosse diventata così priva di idee ed automatizzata come l’Inghilterra, un puro e semplice “progetto commerciale”.
Solo in Sardegna Lawrence sentì che si era salvata una parte della bella virilità che egli aveva ammirato nei contadini del Garda.

Sulla strada per Nuoro, in Sardegna, Lawrence considerava che in Italia, dovunque si vada, si è consapevoli del presente, o delle influenze medioevali, o delle remote, misteriose divinità delle prime popolazioni Mediterranee.

Lawrence era grato all’Italia perché essa gli restituiva gran parte di ciò che si era perduto, come un Osiride rigenerato.

Viaggiò per nuovi territori, ma doveva sempre tornare in Italia per riavere l’ispirazione.

Gli ulteriori tre anni della sua vita stavano consumandosi. “Stiamo morendo, stiamo morendo, così tutto ciò che possiamo fare ora è desiderare di morire” egli scrisse in “The Ship of Death”, “e di costruire la barca della Morte per condurre l’anima nel suo viaggio più lungo.
Una piccola nave con sedili e cibo e piccoli piatti e tutto l’equipaggiamento pronto e sufficiente per l’anima partente”.

La lezione che egli aveva appreso dall’Italia, fu, forse, la più difficile che ciascuno di noi deve imparare; non come vivere, ma come morire.

 

 

Tratto dagli scritti di RODERIK CAVALIERO

Direttore del “British Council” di Roma

(traduzione di Paolo Mattioli)




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